Da quasi quattro anni, una casalinga di 52 anni di Ruffano, nel basso Salento, sta vivendo un calvario giudiziario per un reato che non ha mai commesso: la ricettazione di uno smartphone rubato. L’incubo è iniziato nel 2019 quando la donna è stata accusata di aver utilizzato la sua SIM in un iPhone 6 rubato a Melissano nel marzo dello stesso anno. Il furto era avvenuto all’interno di una vettura lasciata aperta.
L’origine del problema è un errore materiale commesso dagli inquirenti. Durante le indagini, la procura di Lecce ha richiesto i tabulati alle compagnie telefoniche ma ha erroneamente indicato il codice IMEI del cellulare rubato, confondendo l’ultima cifra con uno “0”. Questo errore ha portato i gestori telefonici a identificare il telefono della donna – un Samsung e non un iPhone – come quello rubato.
Nel giugno 2020, la casalinga ha ricevuto un decreto di citazione a giudizio, e ora rischia una condanna fino a sei anni di reclusione. Nonostante ciò, continua a combattere in aula per dimostrare la sua innocenza, assistita dall’avvocato Simone Viva e dai suoi consulenti.
L’errore del codice IMEI ha avuto conseguenze devastanti sulla vita della donna, costretta a sopportare ansie e stress oltre alle spese legali per difendersi da un’accusa infondata. La sua lotta legale evidenzia l’importanza della precisione nelle indagini e le gravi ripercussioni che possono derivare da semplici errori materiali.
Questa vicenda sottolinea anche le lacune del sistema giudiziario, che può talvolta far ricadere su cittadini innocenti l’onere di errori procedurali. La casalinga di Ruffano rappresenta un esempio di come una persona comune possa ritrovarsi coinvolta in procedimenti giudiziari complessi e ingiusti, a causa di una semplice svista.