Il processo era tornato in appello per approfondire l’elemento psicologico del caso, come richiesto dalla Corte di Cassazione nel dicembre 2023. La decisione della Cassazione aveva annullato i 21 anni e 4 mesi di carcere inflitti a Giuseppe Roi, datore di lavoro della vittima, dalla Corte d’assise d’appello di Lecce. La Cassazione aveva chiesto di determinare se il reato potesse essere considerato un incidente, come sostenuto dalla difesa, o un omicidio volontario con dolo eventuale, come ritenuto nei precedenti gradi di giudizio.
Secondo la ricostruzione della procura, Qamil Hyrai morì durante un gioco pericoloso. Il suo datore di lavoro, Giuseppe Roi, avrebbe sparato due volte in sua direzione, con un proiettile che lo colpì fatalmente alla testa mentre si trovava dietro un muro di cinta. L’imputato, accusato inizialmente di omicidio volontario, ha sempre dichiarato che si trattava di una fatalità.
I difensori di Roi, gli avvocati Francesca Conte e Roberto Eustachio Sisto, hanno espresso soddisfazione per la sentenza, affermando che finalmente la vicenda ha trovato la sua “naturale collocazione giuridica”. La penalista Conte ha condotto una lunga battaglia legale, supportata anche dalla consulenza dell’ex generale del RIS di Parma, Luciano Garofano, per dimostrare l’innocenza del suo assistito o, in subordine, per ottenere una riqualificazione del reato in omicidio colposo.
I familiari di Qamil Hyrai, assistiti dagli avvocati Ladislao Massari e Uljana Gazdede, hanno seguito con amarezza il percorso giudiziario. L’accusa originaria sosteneva che Roi avesse sparato volontariamente, ottenendo in primo grado una condanna a 30 anni. Tuttavia, il nuovo verdetto ha portato a una visione differente, relegando l’accaduto a un tragico incidente e ponendo fine al procedimento penale per intervenuta prescrizione.