Nel processo che vede coinvolta la società Tap (Trans Adriatic Pipeline) e 18 imputati, tra cui ex dirigenti e manager delle aziende coinvolte nei lavori, il pubblico ministero Alessandro Prontera ha chiesto otto condanne a tre anni di reclusione per il reato di inquinamento ambientale. Tra i reati contestati inizialmente figuravano anche deturpamento di bellezze naturali, danneggiamento e violazioni edilizie, ma gran parte delle accuse è caduta in prescrizione.
Le richieste di condanna riguardano l’ex country manager di Tap Italia, il project manager di Tap, e sei manager delle aziende coinvolte nei lavori, sè stata richiesta anche una multa da 66.667 euro.
Secondo l’accusa, le opere sarebbero state eseguite in assenza di autorizzazioni ambientali, idrogeologiche, paesaggistiche ed edilizie. Inoltre, alcuni permessi concessi dai decreti ministeriali del 2014 e 2015 sarebbero stati ritenuti illegittimi.
Le presunte violazioni riguarderebbero la realizzazione del tratto italiano del gasdotto, sia nella parte marina che in quella terrestre, con interventi su aree sottoposte a vincoli ambientali e idrogeologici. Tra le accuse, anche l’inquinamento della falda acquifera, abusi edilizi, danneggiamento e l’espianto di ulivi in località Le Paesane senza rispettare le prescrizioni. Inoltre, in località San Niceta, sarebbero state costruite strutture in violazione del divieto di edificare su terreni colpiti da incendi.
Nel processo si sono costituite parti civili, il sindaco di Melendugno Giampaolo Potì e altri primi cittadini dei comuni interessati dal gasdotto, oltre alla Regione Puglia, il Ministero dell’Ambiente, il comitato No Tap Salento e associazioni come Codacons, Italia Nostra e Vas Aps Onlus.