Abuso d’ufficio abrogato: rigettata la questione di illegittimità costituzionale

Il tribunale di Lecce ha dichiarato infondata l'istanza sollevata dal pubblico ministero sul reato abrogato

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La questione di illegittimità costituzionale relativa all’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, introdotta con la legge n. 114 del 9 agosto 2024, è stata respinta dal tribunale di Lecce. Il ricorso era stato avanzato dal pubblico ministero Alessandro Prontera durante la prima udienza di un processo con 51 imputati, accusati di illeciti tra imprenditori, funzionari pubblici e forze dell’ordine a Gallipoli.

Il collegio giudicante della seconda sezione penale, composto dal presidente Pietro Baffa e dai giudici Luca Scuzzarella e Roberta Maggio, ha ritenuto che la normativa rientri nelle prerogative del legislatore nazionale, come sancito dall’articolo 25 della Costituzione, escludendo così un intervento degli organi giurisdizionali, compresa la Corte Costituzionale, sulle decisioni di politica criminale spettanti al Parlamento.

I giudici hanno anche sottolineato che, sebbene la Carta costituzionale contempli eccezioni per evitare la creazione di “zone franche”, non si ravvisa tale rischio nel caso specifico, poiché la normativa vigente offre una gamma di strumenti normativi alternativi, come quelli relativi a corruzione, concussione, peculato e riciclaggio, per contrastare condotte dannose per la pubblica amministrazione.

Nel provvedimento si evidenzia inoltre come i cittadini mantengano la facoltà di ricorrere alla giustizia amministrativa per contestare eventuali atti della pubblica amministrazione ritenuti illegittimi per violazione di legge o eccesso di potere.

Il pubblico ministero aveva sostenuto che la cancellazione del reato di abuso d’ufficio avesse creato una disparità di trattamento, citando il caso delle gare pubbliche, dove le condotte volte a favorire determinati candidati restano perseguibili, mentre altre pratiche non collegate a bandi di gara non sono più punibili. Tuttavia, per il tribunale non sussiste alcuna discriminazione, poiché i contesti giuridici delle due fattispecie risultano sostanzialmente differenti.

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