La decisione di Porsche di abbandonare l’ampliamento della pista di Nardò e il progetto di sviluppo del centro collaudo ha suscitato reazioni contrastanti. Se da un lato il colosso tedesco non ha ottenuto i risultati sperati, dall’altro il comitato “Custodi del Bosco d’Arneo”, insieme a movimenti ambientalisti e associazioni, può finalmente esultare. L’abbandono del progetto è visto come una vera e propria “battaglia vinta” contro un piano che avrebbe minacciato un’area di grande valore ecologico.
Il progetto, che prevedeva l’ampliamento della pista e la costruzione di nuovi edifici, avrebbe comportato la distruzione di 200 ettari di area boscata secolare tra Nardò e Porto Cesareo, un patrimonio naturale che oggi può continuare a prosperare grazie all’impegno dei comitati locali. L’area interessata è parte di una riserva regionale tutelata dalle normative comunitarie per la protezione della biodiversità, un fattore che non è stato adeguatamente considerato dalle istituzioni locali.
Un progetto contestato: la lotta per la tutela dell’ambiente
Il comitato ha ripercorso le tappe della sua battaglia, sottolineando come l’ampliamento fosse stato inizialmente sostenuto dalla Regione Puglia e dai Comuni di Nardò e Porto Cesareo, che vedevano nel piano un’opportunità di “pubblica utilità”. Tuttavia, l’area coinvolta era di rilevanza comunitaria, sottoposta a protezione per la sua biodiversità, circostanza ignorata dalle autorità che avevano avviato il progetto senza consultare la Commissione Europea e senza un adeguato dibattito pubblico. A loro avviso, il piano non solo sarebbe stato devastante per l’ambiente, ma avrebbe anche violato le normative europee.
Di fronte a questa situazione, il comitato ha deciso di denunciare il “massacro ambientale” e la “perdita irreversibile di biodiversità”. Insieme a Italia Nostra e al Gruppo di Intervento Giuridico, hanno promosso un ricorso al TAR, ottenendo anche il sostegno del commissario europeo per l’ambiente, Sinkevičius. Quest’ultimo ha richiesto chiarimenti in merito al progetto, mentre la mobilitazione internazionale, con l’aiuto di importanti associazioni ambientaliste tedesche, ha rafforzato la pressione sulle autorità italiane.
La difesa del territorio: una battaglia contro lo sviluppo imposto
Il comitato “Custodi del Bosco d’Arneo” non ha esitato a respingere le critiche che lo etichettavano come un gruppo di “ambientalisti” contro il progresso. “Siamo semplicemente cittadini liberi – hanno affermato – che vogliono autodeterminarsi”. Ma in molte occasioni, sostengono, chi si oppone a certi modelli di sviluppo viene accusato di essere arretrato e incivile, come se il Sud fosse una regione da “educare”.
Il comitato ha anche sollevato il problema del “ricatto salute-lavoro” che spesso accompagna le scelte di sviluppo nel Meridione, evidenziando i casi di operai che, negli anni, hanno lavorato in condizioni precarie e pericolose, come quelli che nel 2017 avevano organizzato uno sciopero della fame per denunciare il loro stato di sfruttamento. In questo contesto, l’opposizione al progetto Porsche è vista come un’opportunità per riflettere su modelli di sviluppo più sostenibili e rispettosi del territorio.
Critiche agli amministratori locali e alla Regione Puglia
Le critiche non si sono limitate al colosso Porsche. Il comitato ha duramente criticato gli amministratori locali, la Regione Puglia e le associazioni di categoria, accusandoli di alimentare una logica coloniale e predatoria che non tiene conto delle reali necessità del territorio. L’elenco delle problematiche locali, dal disseccamento degli ulivi alla desertificazione, dalla crisi idrica alle speculazioni energetiche, è lungo e denuncia una gestione inadeguata delle risorse naturali.
Una vittoria storica per l’attivismo salentino
L’epilogo di questa vicenda è visto come una pagina storica per l’attivismo salentino, che ha saputo superare i confini regionali, riuscendo a portare l’attenzione internazionale su una causa ecologica. Questo caso è diventato un simbolo per chi crede che esistano altre strade per lo sviluppo, che non compromettano la salute, la sicurezza e il benessere delle persone e dell’ambiente. In un mondo che cambia, il modello di crescita imposto dalle grandi multinazionali non è l’unica soluzione, e la comunità locale ha dimostrato che una nuova idea di futuro è possibile.