Un’inquietante vicenda di criminalità organizzata tra le mura del carcere di Lecce è emersa grazie a un’indagine della Sezione Antidroga della Polizia, che ha portato all’arresto di due persone accusate di tentata estorsione e traffico di sostanze stupefacenti. In manette sono finiti Salvatore Polimeno, 54 anni, pregiudicato e già detenuto per omicidio, e Antonio Cassiano, 19 anni, incensurato, entrambi leccesi.
L’inchiesta ha preso avvio all’interno della struttura penitenziaria leccese, dove è stato ricostruito un piano criminale volto a gestire lo spaccio di droga anche durante la detenzione. L’episodio scatenante è stata l’aggressione a un detenuto, colpevole di aver contratto un debito legato a una cessione di stupefacenti. L’uomo sarebbe stato violentemente picchiato da altri carcerati, riportando gravi ferite, tra cui la frattura del setto nasale e diverse contusioni, tanto da rendere necessario il ricovero ospedaliero.
L’obiettivo dell’aggressione era chiaro: costringere la vittima a farsi tramite per l’introduzione di droga nel carcere, durante i colloqui con i familiari. Da lì, gli investigatori hanno scoperto l’esistenza di un’organizzazione ben strutturata, guidata dallo stesso Polimeno che, nonostante fosse detenuto, continuava a gestire i propri affari illeciti grazie a contatti esterni e all’uso illecito di cellulari di ultima generazione.
Il piano prevedeva che la droga, da recapitare ai familiari del detenuto aggredito, fosse poi introdotta nella casa circondariale. Fondamentale in questa fase è stato il ruolo del giovane Antonio Cassiano, coinvolto nelle operazioni di consegna e oggi colpito dalla stessa ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP di Lecce su richiesta della Procura.
Il 24 aprile scorso, l’indagine ha portato al sequestro di oltre 300 grammi di cocaina e 100 grammi di hashish, droga destinata a circolare all’interno del carcere. La quantità sequestrata conferma l’ampiezza del traffico e la pericolosità dell’organizzazione, in grado di operare anche in un contesto altamente sorvegliato come quello penitenziario.
L’inchiesta mette in luce un grave fenomeno di infiltrazione criminale, che sfrutta i punti deboli del sistema carcerario per proseguire le attività illecite. Il caso ha riacceso l’attenzione sulle misure di sicurezza nelle carceri e sulla necessità di arginare l’uso improprio dei dispositivi elettronici da parte dei detenuti.