Il processo d’appello legato all’operazione “Insidia”, che ha visto imputati i membri del clan Coluccia e altri nove soggetti, si è concluso con un esito che modifica significativamente le pene inflitte in primo grado. La Corte, guidata dal giudice Domenico Toni, ha rideterminato le condanne di Michele Coluccia e Antonio Coluccia, oltre a quelle di altri sette imputati, mostrando come la giustizia possa evolversi attraverso i gradi di giudizio.
Michele Coluccia, 64 anni, originario di Noha, ha visto la sua pena ridotta da 5 anni e 10 mesi a 3 anni e 10 mesi, seguendo una concatenazione di eventi giudiziari che si estende fino al 2013. Tale riduzione include la necessità di revisione di un capo d’accusa precedentemente non contestato. Antonio Coluccia, invece, ha beneficiato di una riduzione da 3 anni e 10 mesi a 2 anni e 10 mesi, dimostrando un caso significativo di revisione della pena.
I difensori, Francesco Vergine, Luigi Greco e Ladislao Massari, hanno giocato un ruolo cruciale nel negoziare queste riduzioni, facilitando l’accettazione di un patteggiamento che ha portato a risultati favorevoli per i loro clienti.
Anche altri coimputati hanno visto modifiche significative delle loro sentenze. Tra questi, Renato Puce e Silvio Coluccia, entrambi con riduzioni da 8 anni a 5 anni e 8 mesi, grazie al riconoscimento delle attenuanti generiche. Ali Farhangi ha visto la sua pena scendere da 4 anni e mezzo a 3 anni e 8 mesi, mentre Nicola Giangreco e Marco Calò, quest’ultimo noto come “Uzzaru”, hanno ottenuto riduzioni rispettivamente a 5 anni e 10 mesi e 7 anni e 8 mesi.
Questo processo d’appello ha non solo ribadito, ma anche riconfigurato, le dinamiche all’interno del sistema giudiziario, offrendo una nuova prospettiva sulla gestione delle pene e sulla capacità di adattamento della legge di fronte alla complessità dei casi mafiosi. A riportarlo è LeccePrima.